Per inaugurare la rubrica ‘In fuga con…un libro” poteva esserci un libro migliore di uno che ha per titolo ‘Elogio della fuga’ di Henry Laborit? 
In realtà la risposta è si, perché oltre ad un titolo accattivante (e decisamente in linea con lo spirito del nostro blog!), il testo è davvero difficile.
Laborit è un biologo e filosofo del comportamento umano, uno studioso di scienze comportamentali e questo libro è un vero e proprio saggio/trattato filosofico-scientifico sull’argomento della fuga.
Quindi, decisamente, non è la tipica lettura da fare in spiaggia sotto un ombrellone!
Però, allo stesso tempo, lo consiglierei vivamente perché offre moltissimi spunti interessanti e stimolanti: per lui la fuga è essenzialmente un ritorno alle proprie radici più originali e creative.

La prefazione recita così:

” Quando non può più lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l’andatura di cappa (il fiocco a collo e la barra sottovento) che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l’illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione. “

Quando l’ho letta ho pensato che è una meravigliosa metafora, che riassume benissimo la filosofia che sta dietro al blog mio e di Barbara: nella vita abbiamo spesso percorso strade che non avevamo programmato,  modificando e ‘aggiustando’ i nostri piani diverse volte, ma ciò che abbiamo scoperto strada facendo, i ‘porti’ imprevisti in cui abbiamo dovuto fare sosta (vedi a tale proposito il post di Barbara sul suo viaggio in barca a vela), ci hanno permesso di conoscere cose nuove su noi stesse e sul mondo che altrimenti non avremmo potuto in nessun altro modo scoprire se, invece di adattare il nostro viaggio nel momento stesso in cui lo stavamo vivendo, ci fossimo semplicemente limitate a seguire una rotta già fissata e stabilita.

Esistono diversi tipi di fuga, dice Leborit, ma la fuga migliore resta quella dell’immaginazione: solo la fuga ci permette di restare fedeli alla nostra vera natura, in quanto non più legati dagli obblighi e dai vincoli che gli altri, ma molto spesso noi stessi, ci imponiamo.
La fuga è la costante ricerca del nostro vero io, il mettersi sempre in discussione, l’essere aperti cuore e occhi a tutto ciò che ci succede attorno: la fuga non è isolamento, ma anzi il suo esatto contrario.
Di certo la fuga ci cambia: ci permette di tornare più ricchi, diversi. Tutto ciò che siamo lo portiamo con noi nel nostro viaggio, come un piccolo bagaglio, sempre con noi. 
Non stiamo fuggendo da noi stessi, questo sarebbe impossibile.
Però, allo stesso tempo, chi torna non è più la stessa persona che è partita: le esperienze che ha fatto, le emozioni che ha provato lo hanno cambiato. Ed una volta tornato anche le cose del nostro quotidiano non ci sembrano nemmeno più le stesse, ma solo perché siamo noi a guardarle con occhi diversi.
Quello che secondo me è importante sottolineare è che la fuga, come la intendiamo noi, non ha una connotazione negativa: non è ‘fuga da’ qualcosa o qualcuno, ma una ‘fuga VERSO’.
La fuga quindi non equivale a scappare, prevede un ritorno: arricchiti e migliori, di sicuro diversi.
Insomma la fuga in qualche modo è fisiologica e vitale, è necessaria, è una finestra spalancata sul mondo che fa entrare aria fresca e il dolce sole del mattino.
Pronti allora a fuggire?

“Aspettatemi, vengo anche io”.